La Stampa: Noia, rabbia, solitudine com’e’ dura la vita dei bambini geniali

L’alto potenziale cognitivo può causare difficoltà di integrazione. Uno studio dell’Università di Pavia individua e aiuta i talenti.

PAVIA. Alla scrittrice Louisa May Alcott la famiglia suggerì di trovare lavoro come domestica o, al più, come sarta e un editore disse che non avrebbe mai potuto pubblicare nulla. Per il suo insegnante di musica Beethoven era «senza speranze». Darwin, nella sua autobiografia, scrisse: «Ero considerato da tutti i miei maestri e da mio padre come un ragazzo molto ordinario». Walt Disney fu licenziato da un direttore di giornale per mancanza di buone idee. Newton andava molto male alla scuola elementare. E poi, c’è Einstein: il suo insegnante lo definì «mentalmente tardo, asociale e alla deriva per sempre nei suoi sogni folli». Alla fine, loro ce l’hanno fatta. Ma quanti si sono persi per strada? Sono migliaia i bambini plusdotati in Italia senza alcun sostegno. A scuola sono invisibili. I «gifted children» sono tra il 5 e l’8 per cento della popolazione scolastica. Per intenderci, almeno un bambino per classe nella scuola primaria e nella secondaria di primo grado ha un quoziente di intelligenza superiore alla media nazionale (Q.I da 120 in su).

Il LabTalento.
«In Italia c’è stata una sottostima nell’individuazione dei bambini ad alto potenziale cognitivo», spiega la professoressa Maria Assunta Zanetti direttrice del Lab Talento dell’Università di Pavia, nato nel 2009. Il «Laboratorio italiano di ricerca e intervento sullo sviluppo del potenziale del talento e della plusdotazione» è l’unico presidio pubblico riconosciuto all’estero come punto di riferimento nazionale. Oltre ad occuparsi dello screening dei bambini ad alto potenziale cognitivo è specializzato nella didattica per alunni gifted e nella formazione dei loro docenti. Sono oltre mille i bambini gifred che segue.
«Federica non è stata riconosciuta dalla scuola come gifted. Anzi. Abbiamo impiegato due anni per trovare la strada giusta. Frequentava la primaria e per i docenti, all’improvviso, è diventata ingestibile. Dicevano che era maleducata. Poi, ci hanno detto che era iperattiva». Francesca D. è un’avvocata di Roma. Vive ai Parioli e le sue due figlie frequentano una scuola privata. La mamma di Federica racconta una storia uguale a quella di tante altre famiglie. «Abbiamo consultato psicologi, pedagogisti, psichiatri, pediatri. C’è chi voleva prendere in carico la nostra Federica come una bambina affetta dalla sindrome Adhd (iperattività) e chi imputava tutto al comportamento alla maleducazione. Insomma, secondo loro era colpa della famiglia».
Federica ora è serena. Da due anni è seguita dal Lab Talento di Pavia. Grazie ai genitori che, navigando su Internet, si sono imbattuti nella professoressa Zanetti. L’hanno contattata e hanno portato la loro bimba a Pavia: ha un q.i di 145 punti. «La professoressa Zanetti – racconta la mamma – ha formato i docenti della sua scuola grazie alla disponibilità del preside. Poi, l’anno scorso, si decise di farle fare la quarta e la quinta in un solo anno. Ci siamo fidati. E’ andata molto bene. Ora è in prima media: è la più piccola, la più fragile emotivamente, ma è la più veloce, è accelerata. Per lei le lezioni normali, quelle frontali, non sono mai abbastanza. E si ricomincia con il solito calvario: non siamo ancora riusciti a convincere la sua nuova dirigente dell’importanza di una didattica inclusiva che possa aiutare non solo Federica, ma l’intera classe». In casi così per genitori e docenti la strada è tutta in salita. Il Miur non prevede una didattica a mis ura di bambini plusdotati, né ci sono percorsi professionali obbligati per i docenti. Il nodo centrale resta la scuola.

Il percorso.
Tutto inizia dall’individuazione dei cosiddetti piccoli geni. «Se il bambino appare emotivamente instabile e compensa la noia con l’iperattività, non per questo ci deve essere una diagnosi di Asperger o di disturbo dell’apprendimento – dice la professoressa Zanetti – . Spesso si ragiona così: sono plusdotati? Sono super intelligenti? Possono farcela da soli. Non è così. Anzi è esattamente il contrario. Se non sono accompagnati, ben gestiti, se la plusdotazione viene considerata dalla scuola un disturbo, se si fa l’errore di livellare il loro apprendimento a quello del resto della classe, non si riconosce il loro bisogno speciale e si disperdono talenti», aggiunge Zanetti che vuole rivolgersi direttamente alla ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli: «Ascoltate questi bambini.
Non si deve avere uno sguardo pregiudizievole nei loro confronti. Facciamoli crescere a scuola in modo sereno e felice. Questo avverrà solo quando saranno riconosciute le loro potenzialità». Altrimenti accadrà ancora quello che racconta la mamma di Maria, una ragazzina plusdotata che frequenta la prima media a Bari: «Per far piacere alla sua professoressa ho scoperto che si sforzava di fare i compiti di italiano con un linguaggio basico, mentre il suo sapere e la sua capacità la riservava al suo diario».

di Elisa Forte

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