Vanity Fair: Ragazzo plusdotato bocciato alle medie, la famiglia vince il ricorso e viene riammesso
di Chiara Pizzimenti pubblicato su Vanity Fair, il 10 settembre 2024
La storia di questo dodicenne è diversa da tutte quelle di cui si legge per ricordi al Tar dopo una bocciatura. Questo 12enne vicentino è plusdotato ed è stato bocciato perché la scuola per lui non porta stimoli e ha smesso di impegnarsi. In seconda media è arrivata la bocciatura per scarso rendimento nonostante il suo quoziente intellettivo sia sopra la media, superiore a 130 punti. Dopo il ricorso al Tar del Veneto il ragazzo è stato riammesso e frequenterà la terza media con i compagni.
«A quanto risulta nelle banche dati che ho consultato è la prima volta: una decisione presa per il mancato rispetto delle esigenze di uno studente plusdotato. La scuola non ha adottato un Pdp (Piano personalizzato di studi) o misure rispondenti ai bisogni educativi del minore. Il Consiglio di classe non ha mai nemmeno discusso l’opportunità di farlo né ha mai motivato tale decisione» ha spiegato alla Stampa l’avvocata Ermelinda Maulucci, che ha curato il ricorso.
«Dal punto di vista formale sono state violate la direttiva Miur 27/12/12 e la nota del Ministero del 2019 che prevede che gli studenti plusdotati siano considerati alunni con bisogni educativi speciali e che in caso di criticità si valuti l’adozione di metodologie didattiche personalizzate e inclusive ed un eventuale Pdp. Vi è stata una palese disparità di trattamento rispetto agli altri alunni. Questo episodio è la conferma che una legge serve. Non dobbiamo agire andando nei tribunali, occorre una specifica formazione degli insegnanti».
I genitori hanno spiegato che il ragazzo era demoralizzato e si sentiva impotente. «La bocciatura è stata uno choc: sapeva di non meritarsela seppur siamo consapevoli che il rendimento non era equiparabile alle sue reali capacità».
Non è un caso raro. I plusdotati, ha spiegato a Vanity Fair Maria Assunta Zanetti, docente di psicologia e direttrice del laboratorio LabTalento all’Università di Pavia «sono tutti quei soggetti che hanno un potenziale, che può essere valutato con un quoziente intellettivo, superiore rispetto alla popolazione normale in uno o più domini e anche una eccezionalità accademica».
La professoressa Zanetti, dal 2012, lavora alla formazione degli insegnanti perché è la scuola è il luogo privilegiato in cui si possono riconoscere e supportare queste potenzialità e a farle emergere, anziché disperderle come talvolta accade. «Molti bambini che vengono etichettati come oppositivi, iperattivi o con disturbi dell’attenzione, in realtà si annoiano, sono frustrati: non trovano nella scuola una risposta ai loro bisogni e reagiscono così. La scuola per loro è troppo facile». Come non perderli a scuola? Con percorsi didattici e metodologie specifiche quali la le personalizzazioni e la differenziazione delle attività nel metodo all’interno del gruppo classe non separandoli.
Sono bambini che presentano anticipazioni in alcune tappe dello sviluppo e soprattutto hanno grande competenza verbale, un lessico appropriato, una memoria eccezionale. Sono in disequilibrio con loro stessi e rispetto agli altri, «disallineati» nel contesto dei pari, anche i loro giochi sono più cerebrali e impegnativi rispetto a quelli degli altri e per questo spesso sono vittime di isolamento, talvolta di bullismo o si autoisolano. Cosa deve fare un genitore? «Stimolarli, ma non iperstimolarli e accompagnarli sempre aiutandoli ad andare in profondità alle cose che chiedono perché questi bambini sono desiderosi di conoscere, di sapere, ma spesso non fanno la fatica e lo sforzo di organizzare le informazioni e il rischio è che le troppe informazioni non vengano elaborate in modo corretto».
Gli alunni ad alto potenziale cognitivo sarebbero tra il 5 e l’8% della popolazione scolastica, in media almeno uno per classe. Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova, esperta di giftness e autrice del libro Il tempo del noi , edito da Mondadori Strade Blu, ha detto a Vanity Fair che preferisce «parlare di persone “gifted”, un termine inglese che si riferisce al dono (“gift”): sono individui dotati di un alto quoziente intellettivo (superiore al 130), di qualità speciali e di un alto potenziale che, però, molto spesso, non riguarda tutti i settori della loro vita, ma solo alcuni. Il profilo di capacità intellettive può essere, cioè, disomogeneo: si può essere molto dotati in alcuni ambiti del sapere, ad esempio la matematica, ma non in altri, come la comunicazione con gli altri, o l’intelligenza sociale, e viceversa».
I genitori di un bambino gifted, spiega, «devono identificare le qualità del figlio, perché, altrimenti il rischio è quello di perderle, di non svilupparle. Ma è anche molto importante che i genitori capiscano quello che non devono fare: non devono cercare di potenziare le prestazioni del figlio esasperandolo e facendolo esercitare oltre il limite. L’intelligenza non si valorizza in questo modo, e l’aspetto competitivo non fa emergere le capacità migliori, anzi. I genitori dovrebbero invece cercare di rafforzare gli aspetti in cui il figlio è meno capace, aiutarlo a sperimentare se stesso anche nei settori in cui è meno facilitato. In poche parole, armonizzare tutte le sue funzioni. Altrimenti il ragazzo rischia di isolarsi per fare solo ciò che gli riesce meglio».
I gifted «a scuola non sempre brillano, non sono “prestazionali”, non rappresentano il prototipo dei bambini bravissimi in tutte le materie. La loro intelligenza è creativa e libera: spesso i gifted sono in grado di prevedere e anticipare le informazioni che saranno fornite dagli insegnanti. E si annoiano: è qualcosa che capita molto spesso ai gifted, che studiano e capiscono in modo divergente, e vorrebbero che gli adulti fossero in grado di seguirli. Quando le loro qualità sono collegate al mondo del sapere (ad esempio la matematica), sono sofisticate: a questi ragazzi non interessa risolvere le operazioni banali, ma comprendere i problemi più complessi».
Per loro è necessaria una didattica personalizzata? «Io credo che una didattica personalizzata sia necessaria per tutti, e per loro ancora di più. Abbiamo messo a punto tanti progetti formativi per dare agli insegnanti le informazioni fondamentali: è necessaria una rivoluzione del sistema educativo».
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