Il Giornale – “Cacciatori di geni”

All’università di Pavia c’è uno dei migliori centri europei che si occupa dei bimbi plusdotati…

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Pavia – Li chiamano bambini gifted, da gift, dono. Il loro quoziente intellettivo è molto più alto degli altri: 130 e oltre, quando la media già buona non arriva a 100. Sono tanti, molto di più di quelli che si pensa, il 5 per cento della popolazione, praticamente un bambino per classe, eppure spesso nessuno se ne accorge perché non vengono riconosciuti.

Due su dieci rischiano di perdersi. E soffrono. Andrea a 15 mesi conosceva tutte le lettere e i numeri, a 16 sapeva la marca di ogni automobile che incontrava per strada. A sei anni leggeva come un attore di teatro e scriveva poesie. Sembra una fortuna, eppure in tantissimi casi il talento può diventare un destino pesante. Lo racconta la sua mamma: «La maestra era stanca dei suoi continui interventi; lo aveva bollato come il rompiscatole, da lì alla presa in giro dei compagni il passo è stato fin troppo breve». Sofia a 4 anni ha imparato da sola a leggere guardando i cartelli del parco giochi sotto casa. Era la sua strategia contro la noia e l’emarginazione. Con gli altri bambini non riusciva a giocare, non capiva come approcciarli.

MASCHI E FEMMINE, 2 STRATEGIE

In Italia c’è un solo laboratorio, dedicato interamente a questi bambini, uno dei migliori d’Europa, all’Università di Pavia: si chiama LabTalento. Arrivano da ogni parte d’Italia, accompagnati da genitori in cerca di aiuto, abituati a combattere da soli in un ambiente che non solo non comprende le capacità dei figli ma che spesso li svilisce e li mortifica. La scuola non li supporta e i professori giudicano spesso anche loro. Li rimproverano di non saper educare il bambino, di non saperlo contenere. La professoressa Maria Assunta Zanetti, docente di psicologia dello sviluppo, accoglie le famiglie nella sua stanzetta nel dipartimento di psicologia, unico in Italia a occuparsi di questi casi. «Abbiamo iniziato nel 2009, da allora abbiamo valutato 187 bambini, da Aosta a Palermo, e ben 176 di loro aveva un quoziente più alto della media. Significa che i genitori ci avevano visto giusto. Ma attenzione, chi viene da noi non viene per esibire il piccolo genio di casa. Non sono padri o madri esaltati o invasati ma persone che soffrono. Chi arriva qui non ce la fa più, ha bisogno di aiuto, perché avere a che fare con i bambini plusdotati non è semplice, hanno un dono che rischia di diventare una zavorra. Noi li salviamo dall’esclusione, dall’incomprensione, diamo assistenza ai genitori, agli insegnanti e ai ragazzi». La cosa più complicata, come spiega la professoressa, è che se non li riconosci, i talenti si perdono, evaporano e i bambini diventano disadattati, aggressivi. Peggio ancora, possono regredire e molti lo fanno. Questione di sopravvivenza: «Una strategia che appartiene spesso alle femmine. Si adattano al gruppo, non alzano la testa per restare al livello degli altri. Si nascondono». Accartocciate su loro stesse, lanciano molti meno segnali dei maschi. «Eppure spesso sono loro le più dotate. Arrivano facilmente a 141 di QI contro i 137 dei maschi ma si mimetizzano, si abbassano al livello dei compagni per essere accettate. Mentre i maschi se annoiati si scatenano, non riescono a stare fermi, sfogano le loro frustrazioni con l’aggressività disturbando la classe e facendo dannare la maestra, loro si costruiscono un mondo interiore. Spesso finiscono i compiti prima dei compagni e leggono da sole, in silenzio. Un comportamento che non dà fastidio. Né alla classe né alle maestre».C’è stato un caso che racconta bene il problema di cui si parla e che lascia disorientati mamma e papà.

IL DRAMMA DEI GENITORI

«È arrivata una famiglia da noi con un bambino plusdotato. I genitori erano al limite, 4 asili cambiati, le maestre incapaci di gestire il piccolo, le sue domande strane, la sua voglia di muoversi, i suoi comportamenti bizzarri. Abbiamo fatto un test di valutazione anche sulla sorella che frequentava già le elementari ma che non aveva mai dato nessun problema di comportamento. È risultata anche più dotata del fratello. E rischiava così di perdersi e di non venir valorizzata. Alla fine questa famiglia, esasperata, ha lasciato l’Italia. Hanno scelto il Giappone dove la plusdotazione è conosciuta e gestita al meglio». La professoressa tira fuori un faldone pieno di lettere e di mail. Sono tutte le richieste di aiuto dei genitori. Spesso sono le mamme a lanciare l’sos. Tra loro ce n’è una con una bimba di 8 anni con un QI di 146. Altissimo. Durante l’estate ha finito da sola l’intero programma di quarta, ma resta incastrata in terza elementare. Niente da fare, la rigidità burocratica della scuola non le permette di saltare classi. I medici le hanno diagnosticato un disturbo emotivo con tono basso dell’umore. È il risultato di due anni in cui la maestra ha tentato di normalizzarla a costo di mortificazioni. Quello della mamma è uno sfogo: «Siamo quotidianamente a contatto col disagio della nostra piccola che chiede disperatamente un piano antinoia perché fa fatica ogni giorno per resistere ad una scuola senza stimoli. Ci aiuti». Al LabTalento arrivano bimbi di tutte le età ma le difficoltà esplodono in età scolare. «Sono bambini che non hanno la pazienza di fare le somme in fila come ordina l’insegnante. Loro arrivano al risultato senza bisogno di passaggi». È l’Eureka, la lampadina che si accende così. Un lampo che non ha bisogno di impegno e fatica, di ragionamento. È talento puro, come un processore di un computer che gira molto più veloce degli altri. E guai a non riconoscerlo. «E invece molti insegnanti si incaponiscono e pretendono di far fare a questi bambini le stesse cose dei compagni. Ecco, noi aiutiamo anche i docenti a trattare con loro, insegniamo un percorso diverso da cui possono avvantaggiarsi tutti, anche gli altri alunni».

UNA VITA FRAGILE

Sono tanti i bambini vittime di bullismo, qualcuno finisce addirittura nella criminalità, altri nella droga. Daniele Doronzo è uno che ce l’ha fatta dopo lacrime e rabbia. Gli avevano dato solo 7 in fisica, una punizione per il comportamento indisciplinato. Niente borsa di studio per l’America. Un sogno in frantumi. Così ha scritto lettere al Cern in un sacco di lingue. Spiegava le sue capacità, gridava la sua voglia di essere se stesso, implorava di non essere cestinato. Oggi vive in America, a San Francisco ed è felice. Oggi è Giorgio, 9 anni, a gridare aiuto. La mamma si è rivolta al centro perché a scuola viene emarginato dai compagni, non si interessa come loro di calcio, si sente incompreso e arrabbiato. Va bene in matematica, suona la batteria, è un ballerino spettacolare, è creativo, per questo c’è chi lo prende in giro. «In loro notiamo come uno sbilanciamento, tanto più sono intelligenti, quanto più fanno fatica a gestire la loro emotività. In loro manca la regolazione dell’umore». Sono geni con il ciuccio, fanno domande da grandi, si prendono sulle spalle il peso di problemi enormi, perdono il sonno a pensare come risolvere la fame nel mondo, come diminuire l’inquinamento per salvare il pianeta. Ragionano come adulti, hanno una memoria prodigiosa, sono sarcastici, ma soffrono da bambini e non sanno accettare i no. «Anche loro vivono insuccessi – spiega la professoressa – ma non sanno gestire le sconfitte, hanno grandi aspettative su loro stessi, accompagnate da forti sensi di frustrazione. E non si danno pace di non riuscire».