IO DONNA – CORRIERE DELLA SERA: “Sono un genio, che sfortuna!”

La scuola, una noia. Amici, pochi. Amori, ancora meno. E genitori con aspettative altissime. Insomma, come sostiene una psicologa francese, la vita dei superintelligenti è un disastro. La salvezza? Imparare da piccoli a fare pace con il proprio cervello

[qui l’articolo online di Cristina Lacava]

Con i pallini rossi ce l’ho fatta (forse). Con i quadratini verdi e blu pure. Arrivata a linee e triangoli mi sono arresa. Le sequenze logiche non fanno per me. E poi, con i tempi ristretti richiesti – 39 risposte in 40 minuti – dopo i primi quiz mi girava già la testa. Pazienza.
Ho provato a misurare il mio Q.I. sul test online del Mensa, l’associazione internazionale dei cervelloni. Chiunque può cimentarsi, sia nel facsimile del test d’ingresso (quello vero però si fa in sede, così non si può barare) sia nella gara annuale di giochi logici Brain (mensa.it), dove il titolo già suggerisce a chi ci si rivolge. Basta avere più di 16 anni, provateci. Chissà, magari scoprite di avere un Q.I. superiore a 130 – come Geena Davis, o Emma Watson, o Matt Damon – e capacità insospettate, come il 2 per cento della popolazione.

Ma il punto è: e poi? Che vita aspetta i superintelligenti o, meglio, i plusdotati? Bruttina, purtroppo. Non sempre, certo, e le associazioni come il Mensa aiutano a fare network. Ma chi si ritrova da solo, con una mente – e una sensibilità – super, spesso fa più fatica di noi miseri normali. Lo sostiene una psicologa francese, Jeanne Siaud-Facchin, che ha appena pubblicato Troppo intelligenti per essere felici (Rizzoli); un titolo che non prevede neanche il punto interrogativo. I plusdotati (da non confondere con i primi della classe, anzi) se la passano maluccio: troppe pressioni da parte della famiglia portano stress e paura di sbagliare. Ma il peggio sono l’ansia di perfezionismo, la fatica ad accettare le regole imposte dall’esterno, il senso di colpa se si deludono gli altri, la noia, la solitudine che deriva dal sentirsi diversi, perfino la paura di fallire, come hanno raccontato recentemente alcuni grandi scienziati di Harvard. Un disastro. «Essere plusdotati è un modo diverso di essere intelligenti» dice Siaud-Facchin. «Non si tratta di essere più intelligenti dal punto di vista quantitativo, ma qualitativo: ci sono grandi capacità di comprensione e di memorizzazione e un’emotività, un’acutezza dei sensi talmente straripanti da inondare il campo del pensiero. Vivere in una condizione così particolare è una grandissima forza ma anche un estenuante interrogarsi che può portare sofferenza».

Per evitare la deriva, bisogna accompagnare il genio fin dall’infanzia. Per se stesso, ma anche per la comunità: «Un bambino plusdotato può disperdere il suo potenziale durante la crescita» dice Maria Assunta Zanetti, fondatrice di LabTalento, il laboratorio di ricerca sulla plusdotazione dell’università di Pavia. «Ci si può disperdere tra mille interessi, ci si può fermare per amore, ci si può nascondere. La dotazione va sostenuta, non iperstimolata. Ed è quello che noi facciamo con i bambini». A LabTalento ogni anno se ne valutano una sessantina, e quasi tutti sono potenziali geni. Come si riconoscono? «Intanto, dalla risonanza magnetica. Hanno più densità di neuroni nelle zone frontali, aree cerebrali che si attivano in modo più veloce. Il loro pensiero è arborescente, si sviluppa per affastellamento, non segue traiettorie lineari. Sanno le tabelline ma non riescono a spiegare come ci sono arrivati». Il peggio arriva con la scuola, e il peggio del peggio naturalmente con l’adolescenza, età dello specchio e del confronto. Con l’università va meglio: «Se hanno resistito, trovano percorsi di studio più lineari. In genere preferiscono quelli scientifici, perché hanno più sviluppato l’emisfero destro».

Problema nel problema, sono le ragazze. La parità è lontana, in fatto di genialità: «Si nascondono, e gli insegnanti non le individuano. Stando a loro, la forbice maschi/femmine è molto ampia. Ma non è vero» dice Isabella Morabito, direttore di Gate Italia, spin off dell’università di Padova. Le donne intelligenti fanno paura, sembrano dominatrici. Quindi, perché rivelarsi? Meglio stare zitte, fingere, soffrire in solitudine. Fino a quando, almeno, troveranno un intelligentone come loro. «Ma se nessuno ti aiuta, crolli».

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