Il Secolo XIX: Il limbo degli alunni geniali

Gli studenti plusdotati in Italia sono il 5 per cento ma il sistema non ne riconosce i bisogni speciali molti si isolano e abbandonano le lezioni.

La storia di Matteo: «Colpevolizzato e bullizzato»

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di ELISA FORTE

Dal 21 giugno saranno 536.008 gli studenti italiani impegnati nelle prove di maturità. A settembre, al suono della prima campanella, alle scuole superiori sono entrati in classe 2,6 milioni di studenti. Il 9,7% con un diploma superiore conseguito nel 2022 si è ritrovato in condizioni di dispersione ‘implicita’, cioè senza le competenze minime (stando agli standard Invalsi) per entrare nel mondo del lavoro o dell’Università. C’è di peggio: il 12,7% non arriva neanche al diploma: abbandona precocemente gli studi. C’è un altro dato che non ti aspetti. A 16 anni, al liceo, al passaggio dal biennio al triennio, per gli studenti plusdotati (con un quoziente di intelligenza dai 120 in su) c’è il rischio più alto di abbandono scolastico. Secondo i dati del Lab Talento (Laboratorio italiano di ricerca e sviluppo del Talento, del potenziale e della plusdotazione) dell’Università di Pavia i ‘gifted students’ in Italia sono il 5% per cento della popolazione scolastica. Uno in ogni classe. Di loro si pensa, in maniera semplicistica ed errata: sono plusdotati? Hanno un’intelligenza superiore alla media? Bene, se sono dei geni possono farcela da soli e meglio degli altri. «Sbagliato. È il contrario – spiega Maria Assunta Zanetti, direttrice del LabTalento – se non accompagnati, ben gestiti, se la plusdotazione viene considerata un problema e non una risorsa per l’intera classe, se si fa l’errore di livellare o normalizzare il loro apprendimento al resto della classe, senza riconoscere i loro bisogni speciali, si disperdono talenti». A Pavia da anni hanno in carico studenti con vissuti scolastici di grande fatica. Le loro storie hanno un unico denominatore: questi adolescenti hanno disinvestito nella scuola perché la scuola non investe su di loro. Emblematica la storia di Matteo A. Vive a Genova, ha soli 17 anni e tra quattro giorni farà gli esami. In anticipo. «Il ragionamento accelerato e ramificato, il flusso di pensieri veloce e vasto sono alla base della nostra neurodiversità. Ma non è capita, non viene gestita. Dalla prima elementare fino all’ultimo giorno di scuola mi sono imbattuto in docenti (tranne rare eccezioni) non preparati. Io ho faticato a rientrare nei canoni tradizionali, loro hanno disperso più energie nel normalizzarmi al resto della classe che nell’accogliere la mia soggettività». Matteo ha sempre avuto ottimi voti (e questi risultati non sono così scontati), punta al 100 e lode e a frequentare la Normale di Pisa o la Galileiana di Padova. Lui è arrivato alla meta grazie alla famiglia che lo ha seguito affidandosi agli esperti del LabTalento. Ma c’è chi non ce la fa, chi vuole fuggire dai banchi: «Scelgono scuole parentali» dice Zanetti. «Il malessere scolastico, specie tra gli adolescenti, sfocia anche in seri disturbi psicologici. Mentre alle medie registriamo un aumento dei casi di ragazzi plusdotati presi di mira dai compagni e bullizzati», aggiunge. Matteo A. è uno di loro: in seconda media è stato picchiato, è finito in ospedale. «Per i miei compagni ero strano, diverso. Non riuscivano a identificarsi con me. E i docenti non mi hanno salvato da loro, anzi sono stato un carico impegnativo e mi colpevolizzavano». Dopo il grave episodio di violenza la famiglia decide di portalo via, chiede il salto di classe. «Ho frequentato il primo liceo come uditore e studiavo in contemporanea il programma di terza media. Ho fatto l’esame da privatista e sono passato direttamente al secondo anno di liceo». Ma qui non è andata meglio, non sul piano relazionale con i compagni. Sere fa alla cena di fine anno scolastico non è andato: non è stato invitato. E a nessuno è importato. «La scuola pretende un rigido adattamento ai canoni tradizionali. Una professoressa di matematica – racconta – non accettava che nelle verifiche usassi procedimenti diversi da quelli che ci insegnava. Facevo anche connessioni aggiuntive, arrivavo al risultato richiesto ma lei non gradiva: mi puniva con voti insufficienti». «Per gli esami, a volte, abbiamo provato a chiedere modalità adeguate alle esigenze degli studenti ad alto potenziale cognitivo ma la risposta è stata: le regole devono essere uguali per tutti», racconta Zanetti. Occorre adeguarsi. Così la vita a scuola può essere davvero dura. «La scuola con loro è matrigna. Non una madre accogliente. C’è una costante e dolorosa dispersione di talenti» commenta Amelia Melaccio, docente, esperta in Gifted Education e referente dell’Alto Potenziale all’Istituto Mazzini – Modugno di Bari, una delle scuole che investe nella formazione sulla plusdotazione. Ci sono Istituti che si sono auto- organizzati: non vogliono lasciare indietro nessuno. La rete di scuole più grande è ‘Educa il Talento’ in Lombardia: è nata nel 2012 e conta 100 scuole. Ma tutto è lasciato alla discrezione e alla sensibilità di dirigenti e docenti. Serve di più. C’è una proposta di legge depositata alla Camera nel 2019. E nello stesso anno (ministro Fioramonti) sono state scritte le Linee guida sulla Plusdotazione. Ma restano (misteriosamente) chiuse in un cassetto, in viale del Trastevere, a Roma. Anche ora che il ministero è quello del Merito.

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