Corriere della Sera.it: “La vita complicata dei piccoli geni”

In Italia 8 ogni 100 bambini. Nessuna assistenza della scuola. A Pavia il primo laboratorio per aiutare i ragazzi di talento

Matteo è in seconda media, e sua madre ha quasi perso il conto delle scuole che ha cambiato. «Tutto è iniziato in seconda elementare: mi diceva sempre “ho il mal di testa, mi annoio”. Pensavo fossero capricci, poi in terza ho confrontato i quaderni con quelli di un suo coetaneo, nostro vicino di casa: ho capito che mio figlio, rispetto ai compagni, non faceva niente». Matteo viene spostato, «e si è trovato di fronte a un maestro che scrollava— fisicamente—chi non seguiva le lezioni. Ne è nato un conflitto pazzesco. Ma io non ho messo subito in discussione l’insegnante; al contrario, ho portato mio figlio al reparto di neuropsichiatria infantile».

[qui l’articolo online di Gabriela Jacomella]

Dove Matteo fa il suo ingresso preceduto da un dubbio, che è già una potenziale diagnosi: sindrome da deficit di attenzione e iperattività. E da cui Matteo esce, invece, con un certificato che recita: QI = 148. Il 60% della popolazione si piazza, mediamente, tra 85 e 115. Talento, plusdotazione, genialità. Molti modi, infinite sfumature per esprimere un solo concetto: ci sono bambine e bambini, adolescenti, ragazzi che seguono percorsi diversi. Più rapidi, a volte più tortuosi, sicuramente non omologabili con quelli della maggioranza dei loro coetanei. Percorsi lungo i quali avrebbero bisogno di trovare una mano tesa: per non inciampare, per non perdersi, per non sentirsi — ancora una volta —«diversi». In Germania, è stato il ministero federale dell’Educazione a commissionare una ricerca sulla gifted education nei Paesi europei: «Il sostegno alla formazione dei più dotati — si legge — si sta espandendo in molte nazioni».

A Pavia, oggi, l’aula Foscolo dell’università ospiterà il primo convegno nazionale sui «giovani geni»—organizzato in collaborazione con l’associazione Giù le Mani dai Bambini —, a coronamento di una settimana di summer school che ha messo a confronto dottorandi e ricercatori internazionali che si occupano delle strategie per sviluppare il potenziale dei «bambini di talento». In Italia, unico Paese tra quelli esaminati dall’indagine tedesca, non esiste alcun regolamento scolastico, linea guida o strumento legislativo che definisca le modalità di inserimento per gli studenti «plusdotati». «Tutti parlano di ritornare a un sistema che premi i talenti — commenta Maria Assunta Zanetti —. La realtà, da noi, è ben diversa: la scuola non ha mai investito sullo sviluppo delle risorse individuali, si tenta semplicemente di portare tutti i ragazzi a un livello di omologazione».

Docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Zanetti lavora da anni a stretto contatto con gli insegnanti, «e spesso mi trovo a dover gestire situazioni e atteggiamenti che vengono letti come disaffezione scolastica: i famosi “ragazzi che si annoiano”. Ma in molti casi, sono semplicemente studenti che hanno una marcia in più o delle potenzialità che la scuola non riesce a tirar fuori… ». I talenti, appunto. Che possono essere di moltissimi tipi: non a caso, le definizioni di «dotazione» esistenti ad oggi hanno raggiunto quasi quota 100. Ci può essere il classico «genietto » della matematica, ma anche il bambino con un talento musicale fuori dal comune. Ci sono talenti che toccano la sfera emotiva, e altri che potenziano la creatività. «Una statistica vera e propria è impossibile— riassume la neuropsicologa Anna Maria Roncoroni—ma stando ai modelli più accettati nello studio della plusdotazione, potrebbe rientrarvi a vario titolo anche l’8-10% della popolazione». Nel migliore dei casi, otto bambini su 100 che, come Matteo, rischiano di ritrovarsi al margine del gruppo dei coetanei: perché troppo precoci, e quindi «strani»; perché disattenti o annoiati, e quindi «problematici»; perché iperattivi, e quindi a volte «disobbedienti», «polemici», «ansiosi».

È per loro che Maria Assunta Zanetti e Anna Maria Roncoroni, insieme a Sara Peruselli, hanno aperto, a gennaio, il primo Laboratorio di ricerca/intervento sul talento e sulla plusdotazione (labtalento@unipv.it) del nostro Paese. Perché da noi, interviene Zanetti, «esistono soltanto esperienze isolate, non a livello sistematico. L’obiettivo non è instillare negli insegnanti la cultura del genio o del fenomeno, bensì dare a tutti l’opportunità di esprimere le proprie capacità, anche in modo non formale». Negli altri Paesi, ad esempio, ai bambini plusdotati è permesso aggregarsi a classi più avanzate o usufruire di un counseling psicologico, esistono campi estivi e festival a loro dedicati, in alcuni casi c’è addirittura la possibilità di iscriversi a «scuole speciali».

Soprattutto, esistono standard ufficiali per l’identificazione dei «talenti» la cui definizione, in Italia, sembra non essere mai stata una priorità. «Intendiamoci, noi non siamo per le classi differenziate: l’approccio è piuttosto quello di valorizzare una risorsa che è tale per tutti. Come è accaduto per la disabilità. Sulle potenzialità, invece, si pensa che tanto il bambino dotato se la cava da sé; ma poi quel che accade è che gli arrivano messaggi di non riconoscimento, in grado di creare un impasse. E il potenziale va perso». «Non abbiamo ancora statistiche italiane — conferma Roncoroni — ma le ricerche internazionali dimostrano come tanti di questi ragazzi non arrivino neanche alla fine del ciclo scolastico. Perché la velocità nell’apprendere, ad esempio, può essere anche una difficoltà: alle elementari e alle medie nessuno insegna loro a far fatica, e quando passano alle superiori, dove è necessario metterci impegno, si fermano».

Per questo, tra le attività del Laboratorio, ci sono i corsi di formazione per gli insegnanti. E poi, ovviamente, la linea diretta con le famiglie: «Ci trovano in Rete, e il primo contatto avviene via mail. Poi si parla, si cerca di capire le loro esigenze, inviamo materiale e questionari (per il ragazzo, ma anche per i genitori e gli insegnanti). Alla fine c’è l’appuntamento qui in sede. C’è chi viene per curiosità, chi vede le difficoltà del bambino nell’integrarsi, chi non sa più come motivarlo ad andare a scuola…». Talenti (e problemi) diversi. «A mio figlio, erano i prof a fare le battute: ma se sei così intelligente, perché non hai tutti 10?», ricorda con un sorriso amaro la mamma di Matteo. «Ho trovato in Internet i contatti del Laboratorio, ci hanno aiutato molto. Ora per lui è importante dimenticare il QI e lavorare sull’autostima, la motivazione. Alla fine non pretendo che vada alla Normale di Pisa: quello che uno cerca è la tranquillità, la normalità». Anche in un Paese che, dei suoi talenti, sembra non sappia cosa farsene.

Gabriela Jacomella
04 settembre 2009

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